Mi piace rendere onore oggi ad un campione che di Tour de France, e non solo di quello, se ne intende proprio, Felice Gimondi, bergamasco di Sedrina.
Corre l’anno 1965 ed il campione uscente uscente Jacques Anquetil ha scelto di non correre la Grande Boucle, dopo aver vinto le quattro edizioni precedenti ed aver completato quindi una cinquina da leggenda nel 1964, il primo nella storia del pedale.Appassionati, media ed esperti di ciclismo hanno pertanto di che speculare sul nome del suo successore. Il più gettonato, inevitabilmente, è quello di Raymond “Pou Pou” Poulidor, ampiamente in testa nella maggior parte delle liste dei pronosticati alla vittoria. Poulidor, che ha chiuso secondo dietro ad Anquetil nel 1964, è il pretendente più accreditato, al pari del vincitore del Giro d’Italia Vittorio Adorni, della superstar belga Rik Van Looy, l’altro transalpino Lucien Aimar, l’elegante Gianni Motta ed Henry Anglade, terza freccia all’arco dei francesi. Nessun taccuino, così come nessun giornalista al seguito, orienta la sua preferenza verso un giovane neoprofessionista italiano, Felice Gimondi, che nondimeno ha chiuso il suo primo Giro d’Italia sul terzo gradino del podio ed è stato portato in Francia per dar sostegno al leader della sua Salvarani, appunto Vittorio Adorni.
Si parte il 22 giugno da Colonia ed il giovanotto lombardo, non ancora 23enne, mostra la sua audacia fin dalle prime frazioni, con l’intento di sorprendere i campioni più acclamati: vince la tappa di Rouen al terzo giorno ed indossa, a sorpresa, la maglia gialla, scalzando il belga Bernard Van de Kerckhvove, a sua volta successore in testa alla classifica di Van Looy, vincitore della tappa d’avvio a Liegi. Già aver conquistato le insegne del primato equivale ad un bel successo personale, conservarle è ancor più difficile, soprattutto se la concorrenza è tanta e pure altamente qualificata. Come nel caso del Tour de France 1965. E la cronometro di 26,5 chilometri di Chateaulin, due giorni dopo ancora, è già un bel banco di prova per valutare le ambizioni di Gimondi e dei suoi inseguitori in graduatoria.
E’l’occasione per Poulidor di vincere la tappa e dare l’assalto al primato, lui che dell’esercizio contro le lancette fa da sempre un punto di forza del suo repertorio. Ed in effetti il buon “Pou Pou“, che è campione con la “C” maiuscola, non delude le attese, si mette in bacheca il successo parziale ma è costretto a registrare l’eccellente difesa di Gimondi che concede solo 7 secondi e conserva la maglia gialla. La cede in prestito per un paio di giorni ancora a Van de Kerckhove, ma all’appello dei Pirenei è pronto a rimpossessarsene. Definitivamente, ma andiamo per ordine.
Il 30 giugno si va da Dax a Bagneres de Bigorre, con l’ascesa del Col d’Aubisque e del Col du Tourmalet. Due totem, due montagne da far venire i brividi anche al più navigato dei forzati della strada. Ma Gimondi, proprio su queste vette da leggenda, conferma la sua stoffa. Lo spagnolo Julio Jimenez attacca fin dalle prime rampe e spezza il gruppo, con la Mercier-BP di Poulidor che forza l’andatura nel tentativo di mettere in difficoltà Gimondi. I tre campioni regalano spettacolo, l’iberico vincendo, il francese battagliando come un eroe, l’azzurro difendendosi come un leone e rivestendosi a sera di giallo, con 3’12” di margine proprio sul
beniamino dei transalpini. A Aix les Termes (dove Bahamontes si ritira e si accomiata dal Tour de France che lo ha visto re nel 1959) e Barcelone l’uno, Poulidor, è ombra dell’altro, Gimondi, e con le Alpi all’orizzonte è già delineato il quadro degli sfidanti per il trionfo a Parigi.
La giornata di meritato riposo è l’occasione per Antonin Magne, team manager della Mercier-BP, di un bel faccia-a-faccia con il suo capitano, che già qualche voce malandrina sostiene incapace di battere il giovane che vien dall’Italia. “Pou Pou” pare rinfrancato dal confronto ed attende, con rinnovata speranza, l’appuntamento con le montagne e con le altre due tappe contro il tempo, al Mont Revard e proprio a Parigi l’ultimo giorno.
Tocca al Mont Ventoux, ed è un’altra tappa destinata a rafforzare l’epica del Tour de France. Perché sul “colle calvo” della Provenza si incrociano i destini di chi vuol coltivare il sogno e di chi, quel sogno, sarà ancora una volta destinato a rimandare. Poulidor non temporeggia, esegue alla lettera la strategia progettata da Magne attaccando con decisione fin dai primi metri di salita e, in compagnia del solito Jimenez, lasciando sui pedali Gimondi. Che arranca ma salva la maglia, giungendo al traguardo, che arride al francese, con un distacco di 1’38” e mantenendo il primato per 34″. Il che apre scenari interessanti per Poulidor, che vede possibile la rincorsa al primo posto.
Tra Gap e Briancon va in scena un’altra tappa classica della Grande Boucle. Stavolta c’è da affrontare il Col du Vars e il Col d’Izoard, pure queste montagne che profumano di ciclismo d’altri tempi, neppure troppo lontani ad onor del vero, e la malasorte si accanisce con Poulidor. Che porva a far selezione sull’Izoard con Gimondi incollato alla ruota, tenta il tutto per tutto in discesa ma paga l’azzardo cadendo rovinosamente. Il campione francese rimane attardato, le ferite non sono gravi e l’inseguimento al gruppo di Gimondi è vanificato per l’inezia di 5 secondi, anche perché il traguardo di Briancon – che premia il coraggio dello spagnolo Galera – è vicino. Le distanze in classifica tra i due contendenti rimangono pressoché invariate, ma per Poulidor non solo è sfuggita la vittoria parziale, ma è anche un’occasione perse nella corsa al primo posto.
La meta finale si avvicina per Gimondi, che nel frattempo è privato dell’aiuto di Adorni costretto al ritiro al termine della nona tappa, ben sostituito in casa Italia da Gianni Motta, capitano della Molteni, che staziona in terza posizione, seppur senza possibilità di inserirsi nel discorso per la vittoria a Parigi. A quattro giorni dalla conclusione il programma offre la crono-scalata di 27 chilometri tra Aix les Bains e il Mont Revard, probabilmente ultima chance per Poulidor di sovvertire il responso della classifica, che sembrerebbe condannarlo all’ennesimo, beffardo secondo posto. Ma è qui, nel Massiccio des Bauges, ad un’altezza non proibitiva di 1.562 metri, che Felice mette la pietra di un’impresa destinata a durare nel tempo, che non avrà un seguito tricolore fino ai giorni di Marco Pantani nel 1998: lascia “Pou Pou” a 33 secondi, un margine letale per il campione francese, che scivola a 1’12” nella generale e vede allontanarsi il suo sogno in giallo. Per Gimondi rimane l’ultima fatica, la cronometro-passarella di Parigi che a questo punto il bergamasco approccia con relativa tranquillità, forte di un buon vantaggio in classifica.
Ed è apoteosi, assoluta e definitiva, perché le lancette ancora una volta si rivelano preziose alleate del portacolori della Salvarani, che nel tragitto che va da Versailles al Velodromo del Parc des Princes completa il delitto perfetto a danno dell’allibito Poulidor, che accusa ancora un passivo di 1’08” e chiude sul secondo gradino del podio con un margine finale di 2’40”. Terzo, a distanza abissale, un comunque eccellente e regolare Gianni Motta, a 9’18”, con Anglade quarto, Guido De Rosso settimo, e le maglie verdi della classifica a punti e a pois del gran premio della montagna che premiano l’olandese Jan Janssen e lo spagnolo Julio Jimenez.
Correva l’anno 1965, quando un giovanotto baldanzoso che veniva dalla provincia e che nessuno si attendeva, battè l’eroe di casa e divenne re di Francia. Si chiamava Felice Gimondi ed è
stato un campionissimo.
by Nicola Pucci
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