Pensate voi cosa dovesse significare guadagnarsi la pagnotta e magari anche qualche trofeo importante negli anni compressi dalla Seconda Guerra Mondiale e con avversari del calibro di un Gino Bartali già affermato e di un Fausto Coppi in rampa di lancio.

Cino Cinelli, ad esempio, che nasce il 9 febbraio 1916 nelle campagne attorno a Firenze, esattamente a Montespertoli, settimo di una nidiata di dieci fratelli. Il padre, piccolo proprietario terriero che fatica a sfamare le bocche che ha messo al mondo, intrattiene rapporti con i fascisti al potere così come con i comunisti condannati ad un’opposizione fuorilegge, e la cosa, oltremodo imbarazzante se non pericolosa, costringe la numerosa famiglia a continui spostamenti, seppur sempre nella zone alle porte del capoluogo toscano, e per il piccolo Cino l’adolescenza ha i tratti della turbolenza.

Il ragazzo scopre la bicicletta in età infantile, quando con i due fratelli maggiori Gino ed Arrigo deve macinare chilometri per andare a scuola a Firenze, e la loro natura competitiva trasforma sovente la quotidiana routine su due ruote in vere e proprie sfide all’ultimo colpo di pedale. Con qualche pugno, talvolta, a definire la tenzone familiare. Gino e Arrigo rivelano buone doti, e, a dispetto della resistenza del padre, cominciano a gareggiare a livello locale, al punto che il giovane Cino racconterà con orgoglio il giorno in cui fu testimone del primo successo di Gino.

Ispirato dai fratelli il minore dei tre Cinelli vorrebbe a sua volta correre in bicicletta, ma la realtà racconta di un padre che si oppone, che in difficoltà economica obbliga Cino a lasciare la scuola per trovare, 14enne, un impiego come aiutante di un medico, non proprio disposto ad “ospitare” nel suo studio un aspirante ciclista. Metteteci poi un fisico non troppo robusto e resistente, ed è pure ovvio che l’attività agonistica gli sia inizialmente preclusa.

La fortuna, si sa, aiuta gli audaci. Almeno così direbbe il proverbio. Ed ecco che Cino, un bel giorno, alla guida di una bicicletta un po’ troppo grande per lui, carambola contro un automobile in una strada di campagna, ad onor del vero fatto insolito per quei tempi. Prontamente rimessosi in piedi, senza danni ma temendo l’ira dell’uomo al volante, si imbatte invece in un conducente gentiluomo, che non solo lo consiglia come riparare la bicicletta e di prestare maggior attenzione in futuro, ma gli elargisce pure qualche generosa banconota. Il dado è tratto, Cino può comprarsi la bicicletta da corsa che ha sempre sognato e la sua avventura di ciclista vincente nasce quel giorno.

Lascia il lavoro presso lo studio medico per impegnarsi con un editore, che ne forgia la passione per la lettura e ne asseconda l’inclinazione sportiva, lasciandogli il tempo necessario per allenarsi. Debutta tra gli amatori e nel 1931 si toglie lo sfizio di anticipare per il secondo posto di una gara locale un fiorentinaccio dal naso irregolare e il temperamento gagliardo, un tale Gino Bartali. Non sarà l’ultima volta che riuscirà nell’impresa.

Negli anni successivi Cino riesce a sposare efficacemente l’impiego con la casa editrice con l’attività di ciclista amatore, fino al 1937 quando, ormai 21enne, la vita, sotto forma di una nuova direzione dell’azienda, lo mette davanti ad un bivio: o il lavoro o lo sport. Avrebbe dovuto optare per una professione in un momento in cui l’economia stentava, oppure diventare professionista senza la certezza di avere un futuro da ciclista, privo di sponsor e con i soli premi come eventuale fonte di guadagno. Ma Cino confida nel sostegno del fratello Gino e nelle sue capacità atletiche, ed ancora una volta la fortuna è dalla sua parte: lascia il lavoro e da individuale vince subito due corse, la Coppa Andrea Boero e il Circuito dell’Appennino.

Nel 1938 viene assoldato dalla Frejus, debuttando sulle strade del Giro d’Italia che lo vedono trionfare nelle tappe con arrivo a Roma (davanti ai compagno di squadra Olimpio Bizzi) e Ravenna (battendo Raffaele Di Paco), per concludere in una onorevolissima 12esima posizione.

Il ragazzo ci sa fare, decisamente. Veloce allo sprint, abile passista, se la cava anche quando la strada si impenna sotto le ruote, e per dimostrarlo sceglie l’appuntamento più prestigioso, il Giro di Lombardia del 1938. Qui ritrova l’amico/rivale da lui battuto in età adolescenziale, Gino Bartali, di due anni più anziano, che nel frattempo è già diventato una stella di prima grandezza, vincendo due Giri d’Italia e vestendo qualche mese prima l’ultima maglia gialla del Tour de France. Il 23 ottobre, lungo i 232 chilometri che vanno da Milano a… Milano, sotto il cielo grigio, “Ginettaccio” è il grande favorito, già primo nel 1936, terzo nel 1935 e secondo nel 1937, ma Cinelli è più sveglio, non lascia la sua ruota e infine sul traguardo del “Vigorelli” lo brucia di un soffio cogliendo una vittoria che lo eleva al rango di campione.

La scommessa di Cino è vinta. Il ciclismo diventa il suo pane, la Bianchi non se lo lascia sfuggire e seppur in concomitanza con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, Cinelli mette in bacheca un discreto numero di successi di prestigio. Come ad esempio il Giro di Campania del 1939, ancora battendo Bartali, o la tappa di Pisa al Giro d’Italia dello stesso anno, concluso in 9a posizione a 26’10” da Giovanni Valetti, vestendo pure la maglia rosa per sette giorni, oppure ancora la Tre Valli Varesine del 1940 quando costringe Fausto Coppi al terzo posto, e il Giro del Piemonte, sempre del 1940, quando ad arrendersi è Aldo Bini.

Ma se c’è una corsa che più di ogni altra certifica la classe di Cino Cinelli nel condurre una bicicletta e nel forzare sui pedali, quella è senza dubbio, per stessa ammissione del diretto interessato, la Milano-Sanremo del 1943. Il 19 marzo il tempo è più che buono e la temperatura accettabile quando alle otto e un quarto le autorità meneghine danno il via ai cinquantacinque partenti. Al seguito della corsa c’è solamente un ristrettissimo numero di vetture, perchè son tempi di guerra e il ciclismo non è proprio una priorità. Ma si corre e gli atleti si danno battaglia, con la selezione che lungo i 281,5 chilometri e le 8 ore di fatica si ha nella zona dei Capi. Qui i più freschi tentano di sparare le loro ultime cartucce, ma ormai tutti hanno capito che si va verso uno sprint di gruppo. Una ventina di corridori si attrezzano, infatti, per arrivare nelle migliori condizioni possibili sotto lo striscione d’arrivo. Diventa allora determinante il gioco di squadra. La Bianchi non chiede di meglio che prendere in mano le operazioni, ma anche la Legnano è ottimamente rappresentata con Favalli, Ricci e Bartali. L’uomo più temuto è il velocista Quirino Toccaceli che corre per il giovane gruppo della Olmo, trovandosi però senza compagni di squadra. Ad un paio di chilometri dal traguardo, Fiorenzo Magni, Leoni e Servadei si sacrificano per la causa bianco-celeste e tirano magistralmente la volata per Cinelli che non si lascia sfuggire l’occasione mettendo la sua ruota davanti a tutti.

E’ l’apoteosi per Cino, la guerra però impone il suo tributo fermando i giochi sul più bello e la carriera del ragazzo di Montespertoli si chiude praticamente qui. Pur non ancora 30enne, Cinelli decide che è il caso di mettere a frutto le conoscenze acquisite in materia di componenti per bicicletta, dismettendo le vesti del corridore per assumere quelle prima di ideatore, poi di imprenditore di se stesso, dando il proprio nome a tondini in acciaio e barre e stringendo una proficua collaborazione con Tullio Campagnolo. Per poi costruire a sua volta biciclette. Diventando pure il primo presidente dell’Associazioni dei Corridori, da lui stesso fondata. Un vincente, insomma, così come vincente è stato sotto i traguardi di Lombardia e Sanremo.

by Nicola Pucci

Cino Cinelli vince la Milano-Sanremo 1943

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