Il ciclismo è lo sport in cui il rumore è la componente meno importante.

Non esiste il fischio dell’arbitro, la sirena dei 24 secondi o il conto alla rovescia dei cancelli di un Super G.

Il ciclismo, a un orecchio distratto, è uno sport silenzioso. A quello fatto in modo superficiale non servono voci, non servono suoni. Non serve il rumore. Il ciclismo superficiale è fatto solo di vista e di immagini riportate.

Nel ciclismo autentico, quello vissuto, tutti i sensi contano. L’olfatto, per l’odore dell’asfalto bagnato, il tatto, per il vento in faccia giù da una discesa, il gusto, per il sapore di fatica prima di un sorso dalla borraccia.

E l’udito. Per tante cose. Ci abbiamo ragionato con i ragazzi del Politecnico che ci sono
venuti a trovare questa settimana, in ufficio e in bici, per un corso di fotogiornalismo. L’obiettivo: creare un video scomposto nei suoi elementi fondamentali, frame e suono. Fotografie, voci e rumori.

Il clic della Boa delle scarpe e dell’allacciatura del casco, il ticchettio della ruota a scatto libero, il clack delle tacchette che si agganciano ai pedali. Il più bello, il suono metallico di quando butti giù un dente e senti le gambe che gridano. Il più brutto, i maledettissimi pattini dei freni sui cerchi in carbonio.

Il ciclismo autentico è fatto e vive di rumore.

E Marco, campione autentico, con il rumore, ci ha anche vinto il Giro del ‘98.

4 giugno 1998. Tappa numero 19, da Cavalese a Plan di Montecampione, 43 km. Marco è già in Maglia rosa. Se l’è presa due giorni prima a Selva di Valgardena per portarsela fino a Milano. Ma c’è un russo, secondo in classifica a 27 secondi, tra Marco e Milano. Pavel Tonkov, maglia a cubetti della Mapei, è l’antitesi di Pantani, nella squadra rivale della Mercatone Uno.

Marco – che è milanista – è Dejan Savicevic, estro e fiuto del goal, Pavel – di cui non ci è dato sapere la fede, ma con licenza poetica lo immaginiamo interista – è Javier Zanetti, solido, quadrato, difende come nessuno. Stesso ruolo, due fenomeni, ma ognuno a modo suo.

Marco sa che Tonkov è solido e quadrato, soprattutto a cronometro. E guarda caso due giorni dopo c’è una cronometro. La Mendrisio-Lugano, che si corre in territorio neutrale ma rischia di essere una guerra in cui 27 secondi sono troppo pochi.

E allora sulla salita verso Plan di Montecampione la Maglia rosa deve attaccare, per potersi difendere due giorni dopo.

Montecampione. Salita lunga. 20km. Costante. 8% fisso. In mezzo un paio di km per riprendere fiato.
Marco attacca subito, e subito rimangono lui e Tonkov. Tutti gli altri non pervenuti. Savicevic continua a provare il dribling, Zanetti chiude, sembra, senza fatica.

È una sfida di gambe, ma soprattutto di testa.

Pantani sempre davanti, scatta a ripetizione, Tonkov non molla la ruota. Dietro di loro l’abisso. Marco non si gira, sarebbe un segno di debolezza. Può soltanto guardare l’ombra di Tonkov sulla strada. E lei è sempre lì, incollata alla ruota. Ma l’ombra non ha espressione. Non si può capire se Tonkov stia soffrendo o stia giocando.

E allora la vista, quella del ciclismo superficiale, non conta più niente. Ci si
affida agli altri sensi. È il momento del rumore. È il momento dei campioni autentici.

Al quinto scatto, Marco è al limite, Tonkov non molla un centimetro, ma è un rumore a fargli capire di provarci un’altra volta.

Quando fece il penultimo scatto sentì in quel frastuono di moto il click del cambio di Tonkov che aveva alleggerito il rapporto troppo presto. E Marco pensò: se questo ha alleggerito il rapporto quando io ancora non ho finito l’azione vuol dire che non ce la fa più. Così prese
fiato e diede l’ultima botta.

Il racconto è di Enzo Vicennati.
Il momento è a 3 km dall’arrivo, dopo 37 minuti e 13 secondi di duetto silenzioso, un click. Click come una foto, con un flash che ti stordisce e ti lascia lì senza capire cosa è successo. Il fotografo Marco, il fotografato Pavel.

Il rumore che forse, fra tanti, ha deciso il Giro del 1998. Il rumore che convince Marco all’ultimo scatto, quello con cui guadagna altri 57 secondi che si terrà stretti fino a Milano. Ci voleva la musica di Verdi.

Sottotitolo della prima pagina della Gazzetta del giorno seguente. Ci voleva, ma è bastato un rumore. Quello che basta ai campioni autentici.

by D98

Marco Pantani

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