C’è davvero tanto nella storia agonistica di Giuseppe Saronni, prima e dopo la Milano-Sanremo del 1983, che risulta difficile poter scegliere un momento che lo rappresenti più di un altro. Ed allora, visto che la “Classicissima di Primavera“, obtorto collo slittata ad agosto, è alle porte, mi preme tornare con la macchina del tempo a quel 19 marzo 1983, quando infine il lombardo ruppe il sortilegio che mai lo voleva trionfatore a Sanremo. E scelse di farlo indossando la maglia arcobaleno di campione del mondo.

In effetti il fuoriclasse nato a Novara ma cresciuto a Buscate ha un conto in sospeso con il “mondiale di primavera“, se è vero che dopo il 19esimo posto al debutto nel 1977, ha infilato una serie di tre secondi posti consecutivi che ancora gridano vandetta, beffato allo sprint, che solitamente sarebbe il suo pane, da Roger De Vlaeminck nel 1978 e nel 1979 (e ci può stare) e da Pierino Gavazzi nel 1980 (e questa, invece, brucia davvero tanto). Ma dopo un anonimo 33esimo posto nel 1981 e l’abbandono nel 1982, ecco che per l’anno in corso Saronni ha proprio tanta voglia di salire infine sul gradino più alto del podio, reduce com’è dall’aver messo in saccoccia la vittoria al Mondiale di Goodwood e il trionfo al Giro di Lombardia nella seconda parte della stagione precedente.

Fasciato della sua bella maglia arcobaleno che si sovrappone a quella della Del Tongo di cui difende i colori, Saronni ha colto già un successo alla Sassari-Cagliari facendo valere il suo spunto veloce su Giovanni Mantovani, ma alla Tirreno-Adriatico, solitamente scelta quale corsa di preparazione alla Milano-Sanremo, Beppe ha dovuto alzare bandiera bianca a Lago di Vico, battuto da Guido Bontempi in volata, e a Monte San Pietrangeli, anticipato da Moreno Argentin, dovendo accontentarsi di un modesto nono posto finale in classifica generale di una prova che lo accreditava dello status di campione in carica. E se Francesco Moser, il rivale di sempre, ha fatto meglio giungendo terzo alle spalle di Roberto Visentini e Gerrie Knetemann, aggiungendo le vittorie al Trofeo Pantalica il 26 febbraio, alla Milano-Torino il 5 marzo e al Giro di Campania l’8 marzo, ecco che i due alfieri d’Italia capeggiano la lista dei favoriti, della quale fanno parte ciclisti del blasone di Jan Raas e Fons De Wolf, già vincitori nel 1977 e nel 1981 e recentemente primi sui traguardi della Kuurne-Bruxelles-Kuurne e della Het Volk, e l’irlandese Sean Kelly, che ha colto la seconda vittoria consecutiva alla Parigi-Nizza, l’altra corsa che prepara i corridori alla Milano-Sanremo. Lo stesso Bontempi ed il giovane e promettente Eric Vanderarden, altre due ruote velocissime, sono attesi a recitare da protagonisti in una classica che, storicamente, piace agli sprinter.

Si comincia, come sempre, dal raduno di partenza al Castello Sforzesco di Milano, in una splendida giornata di sole primaverile, e se lungo i 294 chilometri che portano all’arrivo giudicato in Via Roma ci sono da scavalcare non solo il Passo del Turchino ed i tre Capi, Mele, Cervo e Berta, che hanno l’onere di scremare, se possibile, il plotone, ma anche la Cipressa, introdotta nel 1982, ecco che in avanguardia, a 25 chilometri dall’arrivo, rimane un gruppo di 14 corridori. Tra questi, gli stessi Saronni, Moser, Raas, Bontempi, Kelly (che può contare sull’apporto di René Bittinger) e Vanderaerden (spalleggiato da Guy Nulens), che hanno tenuto fede al loro ruolo di grandi favoriti alla vittoria finale, mentre sono già sotto la doccia il solito, impalpabile Bernard Hinault, che mai nel corso di una carriera monumentale saprà trovare il feeling con la Classicissima, e due valide alternative ai leader di casa-Italia, Silvano Contini e Gianbattista Baronchelli.

All’attacco del Poggio, dunque, si presentano compatti 14 temerari che ormai hanno distanziato il resto del gruppo di quasi un minuto e verosimilmente andranno a giocarsi la vittoria. Ed il primo ad accendere la miccia è lo spagnolo Juan Fernandez, pure lui abile velocista, che corre per la Zor e tenta di anticipare tutti attaccando già dopo i primi tornanti di salita. Bittinger prova ad agganciare e superare l’iberico ma non ha le forze per andare oltre, ed allora, replicando quella memorabile “fucilata” che gli regalò il titolo mondiale a Goodwood, Saronni, che non vuol rischiare di perdere ancora allo sprint, sul lungo falsopiano che porta allo scollinamento pianta in asso gli altri campioni che gli tengono compagnia, salta a velocità doppia Fernandez e Bittinger e, rigettando il tentativo estremo di Raas e Moser di tornargli in scia, si invola verso la vittoria.

I 15″ con cui Saronni passa in vetta al Poggio, diventano addirittura 44″ (con Bontempi, Raas, Vanderaerden e Kelly che completano la top-five) sulla linea d’arrivo di Via Roma, che il campione del mondo taglia trionfante a coronamento di uno sforzo di oltre 7 ore che lo consegnano, finalmente, non solo all’albo d’oro della Milano-Sanremo, ma anche alla storia. Perché da quel 19 marzo 1983, giorno di San Giuseppe (e poteva esserci vincitore più degno?) si attende che una maglia iridata passi per prima sotto il traguardo.

by Nicola Pucci

L’arrivo trionfale di Saronni

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