Quando nel marzo 1990 Gianni Bugno spiana la Cipressa prendendo il volo per andare a conquistare la Milano-Sanremo, il ciclismo italiano entra nei “favolosi Anni Novanta” che lo vedranno costantemente dominare le classiche più prestigiose.
Tra queste, tuttavia, ce n’è una che rappresenta una sorta di maledizione, se è vero che da quando venne disputata la prima volta, a far data 1966 con il successo del francese Jean Stablinski, mai la bandiera tricolore è sventolata sul pennone più alto: l’Amstel Gold Race, classica olandese inserita nel “trittico delle Ardenne” assieme a Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi.
In effetti, su quel tracciato disseminato di muri in asfalto, talvolta dalle pendenze proibitive, l’Italia ha sì sfiorato la vittoria con Francesco Moser, battuto in volata da Jan Raas nel 1978, con Maurizio Fondriest, beffato da Frans Maassen in uno sprint a due nel 1991, e con lo stesso Gianni Bugno, a sua volta infilato a sorpresa dall’elvetico Rolf Jaermann nel 1993, perpetrando il sortilegio anche nei due anni successivi quando Johan Museeuw e Mauro Gianetti hanno anticipato Bruno Cenghialta e Davide Cassani, ma ancora attende la sua prima volta sul gradino più alto del podio.
Il 26 aprile 1996 ad Heerlen, storica località di partenza, si danno appuntamento 192 corridori che dovranno faticare per 253 chilometri insidiati da ben 28 arcigne collinette, tra queste le impegnative vette del Kruisberg al chilometro 168, il leggendario Cauberg al chilometro 192 e il difficilissimo Pietersberg a soli 5 chilometri dalla meta finale quale ultimo, forse, inappellabile giudice. E se proprio Museeuw, che 12 giorni prima ha vinto la Parigi-Roubaix segnata dall’arrivo in parata, stabilito in ammiraglia, in compagnia degli altri due corridori Mapei Gianluca Bortolami ed Andrea Tafi, è l’uomo da battere, l’Italia può ragionevolmente ambire a mettere i bastoni tra le ruote al fuoriclasse fiammingo, puntando su Gianni Bugno stesso, Claudio Chiappucci e Maurizio Fondriest, tutti e tre in cerca dell’antico smalto, ma soprattutto sul talentuosissimo Michele Bartoli, leoncino delle Fiandre e che pare aver doti eccellenti per le corse delle Ardenne. Tra gli allineati al via, c’è anche Lance Armstrong, campione del mondo ad Oslo nel 1993, che è fresco di vittoria alla Freccia Vallone ed è giunto secondo alla Liegi-Bastogne-Liegi, battuto da Pascal Richard, e non fa mistero di voler chiudere alla grande la tris di corse delle côtes.
Si parte in condizioni climatiche di tempo perfetto, pure riscaldato da un sole che a queste latitudini non sempre accompagna i campioni del pedale. Il primo a tentare la sorte con un attacco da lontano è l’australiano Scott Sunderland, poi rilevato da Stefano Colagè, che difende i colori della Refin, e dal francese Laurent Roux. I tre temerari non hanno vita lunga, così come non è fortunato il successivo azzardo di Sergei Outschakov, Ramon Gonzalez-Arrieta e Laurent Madouas, che cade vittima della troppo spesso scarsa attenzione alla sicurezza della corsa olandese. Ne sa qualcosa anche Andrea Brognara, che veste la casacca della Gewiss, che finisce a sua volta a terra e riporta la frattura di un polso.
Le salite si avvicendano senza soluzione di continuità, e quando mancano 72 chilometri al traguardo sale in cattedra Armstrong, che promuove una fuga assieme a Davide Rebellin, Stefan Heulot e Rodolfo Massi. L’americano è in grande spolvero e forza sui pedali, arrivando ad avere un vantaggio di 30 secondi sul gruppo principale che insegue. All’atto di attaccare il Cauberg, a 61 chilometri dall’arrivo, al terzetto al comando si accodano altri nove corridori, tra questi il russo Alexandre Gontchenkov, che contrattacca scatenando l’immediata reazione di Armstrong, che gli salta in scia in compagnia di Beat Zberg, svizzero in maglia Carrera, e di un irriducibile Massi.
Quattro chilometri più avanti, tuttavia, il gruppo si ricompone, e se Didier Rous è tra i più attivi a sua volta provando ad evadere, quando mancano 50 chilometri al traguardo un plotone di circa 30 corridori sembra ormai destinato a giocarsi la vittoria finale.
Tocca ora ad un altro dei grandi favoriti, Museeuw, farsi vedere in testa sul Pietersberg, Virenque lo supera e tenta l’attacco in solitudine. Il francese ha grande attitudine allo sforzo prolungato, è corridore tenace che più volte è salito sul podio al Tour de France, non va dunque preso sottogamba, ed allora, al suo inseguimento, si mettono il danese Rolf Sorensen, un altro dei papabili alla vittoria, ancora Zberg, attivissimo, ed Andrea Peron. Gli inseguitori accusano un ritardo di 20 secondi da Virenque, che viene raggiunto proprio da Zberg e da Gontchenkov sulle rampe del Muezenberg, quando mancano 39 chilometri al traguardo.
Il terzetto pedala con buona lena e di comune accordo, ma manca ancora molto all’arrivo e ciò consente il rientro di Museeuw, Sorensen, Peron, Gabriele Missaglia, Jens Heppner, Axel Merckx, figlio del “cannibale“, e Stefano Zanini, che difende i colori della Gewiss e dimostra abilità anche sulle côtes delle Ardenne, lui che è grande e grosso e parrebbe ben più avvezzo ai muri ed alle pietre delle Fiandre.
Lasciamo per un attimo alla loro sorte il gruppetto di dieci attaccanti, e dedichiamo qualche riga proprio a Zanini, 27enne varesino che è il prototipo del corridore da classiche del nord. Professionista dal 1991 quando venne assoldato dall’Italbonifica di Bruno Reverberi, uno che quando c’è da scoprire nuovi talenti non è secondo a nessuno, il lombardo conta 11 vittorie in carriera, tra queste una tappa al Giro di Puglia e la Coppa Sabatini nel 1992, il Giro dell’Etna, una tappa alla Tirreno-Adriatico e la frazione finale di Milano al Giro d’Italia nel 1994, un’altra tappa alla Tirreno-Adriatico, la Coppa Bernocchi e la Milano-Torino nel 1995, anno in cui si è accasato alla Gewiss, e due frazioni alla Settimana Catalana ed al Giro dei Paesi Baschi nella stagione in corso. Insomma, non tantissimi ma tutti successi di un certo pregio per un corridore potente, abile sul passo, e decisamente svelto in volata. Caratteristiche che gli hanno consentito di terminare quarto, terzo e quinto nelle tre ultime edizioni della Milano-Sanremo, piazzarsi quarto alla Parigi-Roubaix timbrata Mapei del 14 aprile, e vantare pure un quinto posto al Giro di Lombardia del 1995, corsa che non sarebbe adatta ai suoi mezzi ma che non lo esclude, dunque, dal pronostico anche per le classiche delle Ardenne.
Torniamo all’Amstel Gold Race del 1996, e che Zanini sia ben disposto alla battaglia anche sulle côtes più impegnative se ne ha la prova quando, dopo che Sorensen, Peron e Missaglia hanno preso cappello dal plotone accumulando fino a 40 secondi di vantaggio, rigettando il tentativo di rientro prima di Museeuw, poi di Heppner, se ne va di forza da solo sull’Halembaye rispondendo ad un attacco di Zberg e rinvenendo sul terzetto al comando. Non certo appagato, e denunciando resistenza alla distanza, Zanini attacca ancora sul St.Pierre, 27esima côtes della serie, quando mancano 12 chilometri alla meta, e prende il volo.
Il varesino arriva ad avere un vantaggio massimo di 43″ a 7 chilometri dal Maastricht, dove è fissato il traguardo, e se alle sue spalle il plotone si ricompatta riassorbendo Sorensen, Missaglia e Peron, il gran lavoro imposto dalla Festina, che in caso di arrivo in volata potrebbe giocare le sue carte con il velocissimo Emanuel Magnien, e dalla Mapei, che può contare su Museeuw, Franco Ballerini, Bortolami e Franck Vandenbroucke, non sortisce gli effetti sperati.
Stefano Zanini, irraggiungibile, chiude in passerella trionfale, e se 22″ dopo di lui il milanese Mauro Bettin, in maglia Refin, infila Museeuw allo sprint, alzando le braccia al cielo perché convinto che davanti non ci sia nessuno e di esser quindi il vincitore, intascando comunque la seconda moneta, è davvero giunta l’ora, lassù dalle parti del Limburgo olandese, di far suonare l’Inno di Mameli. Il sortilegio è infiine spezzato.
by Nicola Pucci