È curioso accorgersi che finisce il Tour e a seguire invece del clou dell’estate c’è il campionato del pallone. È curioso vedere all’inizio della diretta che il gruppo, anche se non ancora arrivato a Parigi, è allungato come fosse una classica, ma per la faccenda del covid è proibita la promiscuità di interviste, foto di rito e brindisi incrociati, anche se all’insaputa della RAI gli sloveni Pogacar, Roglic, Polanc, Mohoric e Mezgec hanno fatto una foto di gruppo come l’anno scorso i colombiani per analoga occasione. Nelle prime fasi di corsa viene inquadrato Trentin che parlotta con Roglic, i due sono accomunati da sconfitte cocenti, e chissà che Trentin pensando al secondo posto di Roglic non si consoli un po’ per la faccenda del mal comune. Ci si chiede come e perché ha vinto Pogacar, e qualcuno dice che Roglic nella crono ha dovuto modificare la sella e per questo era scomposto, e sarebbe grave che la Jumbo si fosse persa per una cosa del genere, oppure che Roglic cala nella terza settimana, e in tal caso deve assolutamente tornare alla Vuelta che quest’anno è in versione light e dura due settimane e mezza, magari il Giro l’avesse emulata. Si dice che la fortuna di Pogacar è stato il ritardo nella tappa dei ventagli, e in effetti, se avesse preso la maglia gialla, come avrebbe fatto la sua mezza squadra a controllare la corsa, chi lo avrebbe scortato in salita, Kristoff? Si ricorda che la bici del vincitore è di Colnago, proprio nell’anno in cui ha venduto la Ditta e non si capisce che ruolo continua a svolgervi, ma di sicuro dispone di telai del colore delle varie maglie pronti per essere inviati al ragazzo fenomeno che è buono bravo bello intelligente umile e maturo, proprio come Bernal l’anno scorso.

Ma in realtà il vero segreto di Pogacar ce lo svela Garzelli, in collegamento dalla Casa di Riposo Studio RAI, quando ricorda che nell’ultima cronometro della Vuelta dell’anno scorso Pogacar diede 1’30 a Valverde e 1’40 a Pogacar, e capirete che uno che dà un distacco del genere a sé stesso non è un ciclista qualunque, e soprattutto questa sua ubiquità ben si concilia con il fatto che al Tour ha vinto 3 maglie. Ecco, la RAI è la vera jattura per gli spettatori italiani, dicono che bello il passaggio del gruppo nel Louvre e lo sfumano per mandare la pubblicità, oppure parlano di funghetti a 10 km dalla conclusione con Van Avermaet in fuga. L’ultima tappa più di tutte è uno strazio con mille commenti, spesso inutili, e forse sarebbe il caso di indire un referendum per il taglio dei commentatori RAI, e poi riassunti, ricordi, non sempre tempestivi (per Gianni Mura morto 6 mesi fa non potevano trovare un’altra occasione?), ringraziamenti, autoindulgenze, indulgenze plenarie e ogni altra occasione che torna buona pur di non parlare della corsa di cui non so quanti km effettivi hanno fatto vedere, perché il problema non è solo quello che dicono, basterebbe azzerare l’audio, ma quante volte staccano le immagini per altrove. E dato che come spettatore del ciclismo a me piacerebbe vedere innanzitutto la corsa in corso, mi chiedo se interessa anche a loro che col ciclismo ci campano, a volte sembrerebbe di no. Ridendo e scherzando si arriva alla volata e vince Bennett che si porta a casa pure la maglia verde, l’unica non vinta da Pogacar, con l’annessa soddisfazione di strapparla a Sagan che fino all’anno scorso era suo compagno di squadra, una compresenza che in pratica impediva a Bennett di essere selezionato per il Tour.

E lei è il segreto più noto di Pogacar: la fidanzata che, al netto degli accenti e altri segni grafici, si chiama Urska Zigart, corre nella Alé BTC Ljublijana e quest’anno ha vinto il titolo sloveno a cronometro, è arrivata decima nel Tour de l’Ardéche e 78esima nel Giro Rosa.

by Tony Pastel

Urska Zigart

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