Quando Gianni Bugno si allinea ai nastri di partenza del Giro d’Italia 1990 nessuno può nemmeno lontanamente immaginare quello che il monzese ha in serbo per gli appassionati di ciclismo.

Certo, il ragazzo ha classe cristallina e colpo di pedale come pochi altri al mondo, e ne ha dato completa dimostrazione qualche settimana prima dominando la Milano-Sanremo vinta con l’attacco sulla Cipressa, ma le quattro edizioni precedenti della Corsa Rosa lo hanno visto primeggiare solo all’arrivo di Prato nel 1989 e rimanere fuori dai giochi di classifica, pertanto il Giro rappresenta un’incognita. I riflettori sono puntati altrove, in specialmodo sui dominatori dell’ultima edizione del Tour de France, l’americano Lemond e il suo delfino, il francese Fignon. C’è l’altro transalpino di punta, Mottet, che sarà in definitiva la stella straniera più performante sulle strade della Penisola, c’è lo spagnolo Marino Lejarreta che ha esperienza da vendere ed è ospite fisso nelle posizioni di vertice delle grandi corse a tappe, c’è l’olandese Theunisse che ha spianato l’Alpe d’Huez, ci sono i due italiani Giupponi e Giovannetti, l’uno battuto solo da Fignon l’anno prima, l’altro fresco reduce dal trionfo alla Vuelta con la maglia della Seur, c’è infine “Coppino” Chioccioli che veste i gradi di capitano della Del Tongo.

Gianni Bugno corre per la Chateau d’Ax di Gianluigi Stanga, diretta in ammiraglia da Vittorio Algeri, e a Bari, dove il 18 maggio la corsa si avvia con un prologo di 13 chilometri, piazza subito la botta che non ti aspetti: anticipa di 3 secondi uno specialista come Thierry Marie e veste la prima maglia rosa. Non sarà l’ultima, anche se gli addetti ai lavori non lo pronosticano come possibile vincitore del Giro. Ma Bugno è maturato, il corridore ha raggiunto la completa padronanza dei suoi illimitati mezzi e vola sui pedali. Se ne ha conferma due giorni dopo, al primo arrivo in salita al Monte Vesuvio: vince lo spagnolo Chozas, un buon piazzato che spesso azzecca la fuga giusta, ma Bugno chiude secondo staccando il gruppo e consolidando il primato in classifica. E’ il segnale che la Corsa Rosa ha trovato il suo padrone.

Lemond e Fignon palesano uno stato di forma scadente e si trovano pure a dover fronteggiare la cattiva sorte che taglia fuori il parigino, costretto ad inseguire per colpa di una caduta nella tappa con arrivo a Fabriano. Bugno non fa una piega e a Vallombrosa, in quota, dove si conclude la settima tappa, ipoteca la vittoria finale frantumando il gruppo e vincendo a braccia alzate davanti a Ugrumov, Chioccioli, Mottet e Lejarreta, gli unici in grado di rimanergli a ruota. In classifica alle spalle di Bugno emergono due giovani, lo svizzero Steiger e il polacco Halupczok, campione del mondo dei dilettanti nel 1989 destinato ad una scomparsa prematura, ma non saranno loro gli avversari più temibili.

A Langhirano si registra la prima, storica vittoria al Giro d’Italia di un corridore russo, Poulnikov, nel giorno in cui Fignon è costretto all’abbandono; siamo al giro di boa e il programma prevede la lunghissima cronometro tra Grinzane Cavour e Cuneo, 68 chilometri che impongono all’attenzione il nome di Luca Gelfi. E dopo aver vinto il prologo, aver dominato in salita e aver fatto la voce grossa in pianura, Bugno assesta l’ennesimo colpo del k.o. agli avversari e nel tripudio dei suoi sostenitori, che col passare dei giorni si sono centuplicati, relega in classifica generale Giovannetti e Mottet ad oltre quattro minuti.

Restano da affrontare le Dolomiti ma la sensazione è che Bugno sia assolutamente padrone della situazione. Il 2 giugno si scala Valparola, Gardena, Sella, Pordoi, Marmolada e l’arrivo è ancora fissato sul Pordoi, Mottet azzarda l’attacco salando verso Fedaia ma Bugno è la sua ombra, i due si involano e Gianni lascia al capitano della RMO il successo di prestigio – e che a posteriori farà discutere – sulla cima più prestigiosa del Giro del 1990. Il giorno dopo, nella frazione che si conclude all’Aprica, i corridori fanno conoscenza con le terribili rampe del Mortirolo, introdotto per la prima volta, ma il gruppo è compatto e il nulla di fatto all’arrivo, con vittoria del camoscio venezuelano Leonardo Sierra, consegna il Giro nelle mani di Bugno.

Prima dell’apoteosi milanese con volatona di Mario Cipollini, c’è spazio per il suggello del fuoriclasse nella crono-scalata del Sacro Monte di Varese che Bugno sorvola lasciando il secondo, lo spagnolo Lejarreta, ad oltre un minuto di distacco. Il Giro si chiude così come tre soli altri atleti erano riusciti a fare, ovvero in maglia rosa dal principio alla fine: Girardengo nel 1919, Binda nel 1927 e Merckx nel 1973. Mottet è secondo a 6 minuti 33 secondi, Giovannetti sale sul terzo gradino del podio con un ritardo di 9 minuti 1 secondo.

Stavolta l’impresa è di Gianni Bugno, monzese, anni 26 compiuti il 14 febbraio – data che celebra San Valentino ma qualche anno dopo piangerà un altro eroe del Giro, Marco Pantani -, che entra tra gli eletti del ciclismo ed alza il sipario su una carriera da campione.

by Nicola Pucci

Gianni Bugno

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