Nans Peters guarda dritto nella telecamera e spiega il segreto della sua vittoria: «Mi sono accorto che Zakarin scendeva come una capra.»

Non usa giri di parole, Peters, e anche se gli si facesse notare che le capre sono invero parecchio abili sui pendii, lui potrebbe ribattere che la similitudine si rifaceva specificamente al profilo facciale dell’avversario. La barbetta di Zakarin ricorda un po’ una capra, in effetti, così come le sopracciglia all’insù di Peters ricordano un pinguino.

Il soprannome di Peters è proprio Pinguino, gliel’ha dato un amico anni fa. Il nome, invece, gliel’ha dato sua madre, spettatrice fedele di un famoso feuilleton francese degli anni ’70: “Nans le berger”.

Grandioso feuilleton è il Tour de France: questo Tour de France che affronta i Pirenei in un sabato di inizio settembre, centodieci anni e qualche giorno dopo la prima volta, con una trama inedita eppure già sentita, a un tempo nuova e copia di se stessa.

Il Col de Menté, la cui discesa vide Ocaña sfracellarsi in maglia gialla. Port de Balès, dove a Andy Schleck saltò la catena un secondo prima dell’attacco di Contador. Il Peyresourde, dove Lapize transitò con il manubrio ancora al suo posto (gli si sarebbe rotto poco dopo, sul Tourmalet), e dalla cui cima Froome si lanciò in una delle azioni più incredibili della sua carriera.

Il ciclismo è una continua riproposizione di scene madri, di fatti piccoli e grandi che avvengono sempre negli stessi luoghi, su strade la cui identità viene definita o ridefinita dal passaggio della corsa.

La strada che arriva a Port de Balès, quella di Schleck, il secondo GPM dell’ottava tappa del Tour 2020, non esisteva fino a dieci anni fa. Cioè la strada in sé esisteva: prima una mulattiera, poi l’attuale lingua di asfalto, sempre con i ruminanti pascolanti ai lati e il mormorio del fiume Ourse in sottofondo.

Ma la salita verso Port de Balès, ha affermato questa mattina il direttore del Tour Prudhomme, quella è nata il giorno di Schleck e Contador, non prima. E ogni volta che il Tour passerà da Port de Balès si citeranno Schleck e Contador, è certo, perché le formattazioni che opera il ciclismo non riescono mai alla perfezione, nei nastri delle cassette sulle quali sovrascrive ogni volta i suoi nuovi episodi restano tracce delle registrazioni precedenti, in una progressiva aggiunta di strati che custodisce, nell’indistinguibile somma del tutto, lo spirito di questo sport.

Forse anche per questo l’impaccio con cui Il’nur Zakarin ha affrontato oggi la discesa da Port de Balès sembrava un déjà vu, il topos dell’uomo smarrito di fronte all’abisso delle proprie paure.

Più probabilmente, sembrava una scena già vista perché l’abbiamo già vista – per davvero: Zakarin arrancante in discesa è uno dei grandi classici del ciclismo di questi anni. Una commedia che minaccia a ogni fotogramma di trasformarsi in horror, una storia in cui cambia la location ma non la viva speranza del protagonista nel fatto che Newton si sbagliasse, e che non è vero che tutto quel che sale deve anche scendere.

by Leonardo Piccione

Il’nur Zakarin

from http://urly.it/37s9d

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *